UNA VITA SENZA SENSO 1 E 2 (esordio e fine)
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arteideologia raccolta supplementi
nomade n. 5 dicembre 2011
OÙ SOMMES-NOUS?
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Fatti e misfatti - Mentre scriviamo, abbiamo a portata di mano, sullo schermo del computer, una cartella che contiene numerosi articoli di cronaca sul malessere sociale, con relative statistiche e interpretazioni psico-sociologiche. E siccome l'argomento che stiamo trattando ha suscitato un appassionato interesse fin dal suo avvio, abbiamo anche cartelle con le diverse collaborazioni giunte via Internet dalla nostra "redazione diffusa".
Tutto il materiale di cronaca è riconducibile alla patologia sociale che colpisce l'individuo contemporaneo, ma l'insieme sembra composto da elementi così casuali e slegati che sarebbe  difficile coglierne il nesso preciso se non facessimo ricorso a ben precise leggi sociali, quelle stesse che poniamo alla base della nostra dottrina generale. La quale, in quanto concezione unitaria del mondo, non fa posto a una specialità scientifica dedicata ai mali dell'animo, e tantomeno a una terapeutica utile a rattoppare l'individuo affinché non si lagni troppo e vada a produrre. Scorriamo le finestre dello schermo e chiediamoci che cosa può collegare fatti del genere, riportati a caso:

  • Cinquecento ragazzi provenienti da periferie degradate si organizzano e assaltano in massa migliaia di bagnanti su una spiaggia razziando tutti gli oggetti di valore.
  • Madri ammazzano i propri figli, annegandoli, prendendoli a calci, buttandoli dalla finestra o nei cassonetti.
  • Due milioni di giovani in estasi si riuniscono per pregare con il Papa in un immane incontro mediatico amplificato dalla televisione.
  • Tre giovani si uccidono insieme innescando una serie di suicidi fra altri giovani, con le stesse modalità.
  • In un grande stadio le opposte fazioni di ultrà, attaccate dalle "forze dell'ordine", si coalizzano e insieme ingaggiano battaglia.
  • Una massa enorme di persone dà luogo spontaneamente a una veglia funebre di più giorni in morte di una ex principessa divorziata.
  • Una ragazzina, con l'aiuto dell'amante coetaneo scanna "senza motivo", a coltellate, la madre e il fratellino.· Giovani appartenenti ad una setta satanica massacrano alcuni degli adepti loro coetanei.
  • Tre milioni di lavoratori partecipano ad una oceanica manifestazione sindacale in difesa di un insignificante articolo di legge con un entusiasmo sproporzionato rispetto all'obiettivo.
  • La popolazione di un quartiere ingaggia una battaglia di strada in difesa di un piccolo scippatore contro un esagerato schieramento di polizia;
  • Due o tre miliardi di umani festeggiano con angosciosa speranza l'avvento del nuovo millennio "sbagliando" di un anno, cioè anticipando stranamente e clamorosamente, la fatidica data.
  • Un miliardo di cattolici, coadiuvati da credenti in altri dei, inscenano una planetaria manifestazione mistica intorno alla morte del meno mistico papa della storia, distintosi per aver trasformato definitivamente il mistero della Chiesa in un prodotto perfettamente consono alla società dello spettacolo (con conseguente sovrapproduzione di santi).
E così via, in un inventario che può essere lungo quanto si vuole. Nel corso del nostro studio, non potendo ovviamente analizzare tutti gli episodi elencati, ne estrarremo alcuni significativi raggruppandoli in insiemi congruenti.
Utilizzeremo per questo fonti super ufficiali come la Chiesa, l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), l'Istituto Europeo per le ricerche Economiche e Sociali (EURES) e il Servizio Informazioni per la Sicurezza Democratica (SISDE); citeremo volutamente anche fonti non ufficiali, come la letteratura e il cinema, spesso molto più sensibili nel registrare fenomeni come quelli che stiamo indagando di quanto non lo siano gli istituti preposti dagli Stati con le loro fredde tabelle. Ma veniamo alle leggi sociali che collegano i fenomeni suddetti.
Già nei suoi studi giovanili (1843) Marx, indagando sulla struttura produttiva e riproduttiva sociale, era giunto alla conclusione che la vera patologia dell'uomo capitalistico è la separazione da sé stesso (separazione dell'individuo dalla specie) attraverso l'alienazione del prodotto del proprio lavoro, non più finalizzato al bisogno dell'altro, reciprocamente, ma alla valorizzazione del Capitale, unidirezionalmente.
Si ha un bel dire che la malattia è della psiche e che è determinata nell'individuo fin dalla sua nascita, al massimo modificata con lo sviluppo nell'ambiente: se è vero che ogni epoca ha sofferto delle sue nevrosi specifiche, quest'epoca soffre di qualcosa in più della malattia psichica (ammesso che esista una psiche come quella presa in esame dagli psicologi).
Nessuna "malattia" è diagnosticabile nel caso di un irrazionale dolore collettivo per la morte di una principessa britannica, nel paese che conobbe la sua rivoluzione borghese nel '600, il cui partito tagliò per primo la testa a un re.
E nemmeno sono malati milioni di uomini che parteciparono a una grande marcia di lavoratori, mossi da manovre tra frazioni politiche e quindi presi per i fondelli nel paese dei furbi venuti su alla scuola della borghesia più vecchia del mondo e quindi più putrefatta delle sue più giovani consorelle.
Come ha mostrato Wilhelm Reich, non c'è differenza fra psicologia individuale e di massa, ma è certamente più facile diagnosticare qualche tipo di patologia nel caso degli assassinii in famiglia, dei suicidii, delle statistiche generali degli omicidii e persino degli incidenti stradali (sembra nientemeno che un batterio dei topi, trasmesso all'uomo dai gatti, alteri la percezione del pericolo innalzando la propensione al suicidio, specie in chi guida). Ma anche in questo caso è fin troppo evidente che c'è una relazione diretta fra la decrepitezza del capitalismo e le patologie di tipo sociale.
Nei paesi più industrializzati la produzione di plusvalore relativo attraverso l'aumento costante della produttività va a scapito della salute fisica e soprattutto mentale di chi produce ed è costretto a vivere in una frenesia tale da diventare spesso distruttiva.
Ma anche di chi non produce e vive nella spasmodica ricerca di un posto di lavoro.
Dalle forme di violenza potenziale, che danno luogo soprattutto a fenomeni depressivi di massa, si passa sempre più sovente a varie forme di violenza in atto, altrettanto di massa, non più gravi ma solo più evidenti, con ossa rotte, sparatorie e spargimenti di sangue.
Violenza potenziale e attuale sono comunque sintetizzabili da un unico comune denominatore: lo spreco immane e insensato di energia sociale, di un enorme potenziale umano ben altrimenti indirizzabile.
La violenza patogena, potenziale o in atto, sembra tuttavia non essere monopolio dei paesi più industrializzati. In contraddizione con il legame diretto tra patologia e ultrasviluppo, la violenza moderna cresce anche in molte aree del mondo che sono state bloccate nel loro sviluppo.
La contraddizione è però solo apparente perché queste aree non solo sono state private del loro tradizionale bagaglio di relazioni umane e depauperate dalla rapina imperialistica, ma sono anche state catapultate a forza sulla scena del capitalismo più moderno, quello del mondo finanziario, speculativo e assistenziale. >

In Asia, Africa e America Latina crescenti masse urbanizzate, improduttive e affamate possono sopravvivere in immense pseudo-città solo grazie a piccoli traffici e agli aiuti internazionali, dato che le briciole lasciate dalle aziende multinazionali sono fagocitate dalle avide borghesie del luogo. Le quali, terminato ormai il ciclo delle lotte di liberazione nazionale, partecipano alla spartizione del plusvalore mondiale come mafie finanziarie moderne, affiancate dagli interessati tutori delle city imperialistiche. [...]
[…] La serie delle negazioni fin qui tratteggiata non può essere terminata senza introdurre, almeno brevemente, quella più potente di tutte, quella cioè operata dalla comunità umana futura necessariamente anticipata in questa società.
Dobbiamo perciò chiederci quale possa essere la "politica" dell'uomo giunto alla consapevolezza della vita senza senso, quale possa essere la sua manifestazione organizzata di energia tesa a rifiutare l'esistente conservatore con un lavoro positivo per il nuovo, rivoluzionario.
Si tratta di sapere, allora, se le manifestazioni di negazione possono essere rovesciate nel loro contrario, se l'individuo cui è negata l'appartenenza alla specie può riconquistare la propria umanità e per quale via.
Prima del Sessantotto, prima cioè che l'esistente si impadronisse della rabbia giovanile, l'impulso spontaneo delle giovani generazioni fu quello di negare semplicemente questa società: "piuttosto di fare la vita dei miei genitori mi ammazzo", come disse la ragazzina del Parini.
La soluzione, appunto, non era entro questa società; e quella apparente, "estetica", hippy e floreale, non poteva che essere fagocitata dalla tetra politica gruppuscolare, anche se a Parigi qualche sprazzo di futuro si manifestò in modo più evidente che altrove.
Ma il Sessantotto, come tutte le manifestazioni abortite della rivoluzione in corso, fu importante per ciò che poteva essere e non è stato, non per gli aspetti poi diventati leggenda.
Infatti, prima di essere un movimento rivendicativo, fu semplicemente negazione, ricerca di una nuova appartenenza, senza però che vi fosse l'oggetto a cui fissarla, cioè la comunità politica, il partito.
Non siamo tra coloro che in questi casi dicono: "la situazione era rivoluzionaria, mancava solo il partito che dirigesse le masse".
Quando il partito non c'è vuol dire che la situazione è contro-rivoluzionaria a tutti gli effetti, nonostante le premesse.
Diciamo piuttosto che la rivoluzione non è cieca e che nel Sessantotto ha giocato d'anticipo: non ha permesso che nascesse un partito come copia di quelli delle rivoluzioni passate, democratici, elettoralisti, gerarchici e basati sulla personalità dei capi.
L'impossibilità di ritornare indietro non ha coinciso con la possibilità di andare avanti, ma s'è verificata una condizione perfettamente in linea col Marx del '48, commentatore di una rivoluzione che criticava necessariamente sé stessa.
In conclusione, del Sessantotto rimane il fatto importantissimo che milioni di persone hanno cercato qualcosa di nuovo, anche se non l'hanno trovato.
Vent'anni dopo, l'ondata del bisogno di cambiamento coinvolse la Cina con la rivolta iniziata a Tienanmen, durante la quale si ripresentarono modalità "parigine", compresa un'estetica politica completamente diversa da quella della cosiddetta rivoluzione culturale dei tempi di Mao.
Anche nel movimento cinese ciò che più colpiva era la mancanza di finalità rivendicativa di una lotta che fu più grande rispetto all'importanza attribuitale dalle fonti d'informazione (patologicamente fissate sulle generiche parole d'ordine di democrazia e libertà, che a Tienanmen erano solo l'epifenomeno rispetto alle cause reali del grandioso movimento).
E colpiva, proprio per questo, l'estrema brutalità della repressione, del tutto ingiustificata rispetto a presunti pericoli per lo Stato. A meno di non pensare che i governanti cinesi avessero intuito, con più perspicacia dei gazzettieri e dei politici nostrani, che era in gioco qualcosa che andava ben oltre le parole d'ordine urlate e scritte (la violenta repressione incominciò quando gli operai delle fabbriche requisirono autocarri e treni per marciare su Pechino).
Ecco dunque un fatto nuovo: la "politica" del futuro, di cui abbiamo avuto qualche saggio significativo benché per ora non influente, non mette più al centro la "rivendicazione", qualunque essa sia. Il movimento rivendicativo è in via di estinzione, come dimostrano le manifestazioni di massa, di qualunque tipo, che per i partecipanti valgono più per sé stesse che per le motivazioni accampate dagli organizzatori.
Lo confermano i raduni oceanici, come quello di Roma, ad esempio, sul ridicolo articolo 18 che non comporta praticamente effetti reali sulla vita degli operai o quelli organizzati dalla Chiesa, ai quali partecipano pseudocristiani che sentono più il bisogno di trovarsi in quelle occasioni che non di fare vita da cristiani; o ancora, quelli che si organizzano con gran rumore intorno ai convegni dei "grandi" da Seattle in poi.
La politica del futuro non potrà che passare, necessariamente, attraverso la formazione di una nuova comunità-partito che anticiperà forme della società comunista, in critica a quelle del passato.
Questa comunità non rifletterà più i caratteri dei vecchi partiti, che erano un misto fra chiesa, famiglia, parlamento e patria.
La lotta per la distruzione dello Stato borghese e per la società nuova assumerà caratteristiche diverse rispetto - per esempio - alla Rivoluzione d'Ottobre: Lenin sapeva che in Occidente, al contrario che in Russia, sarebbe stato difficilissimo conquistare il potere, ma facile mantenerlo una volta conquistato.
La forma sociale presente innalza una barriera contro-rivoluzionaria preventiva contro l'anti-forma che emerge con prepotenza e che si imporrà in quanto la sua forza è reale, non ideale.
Abbiamo già delle avvisaglie del percorso appena tratteggiato e non sono che la conferma di quanto già dissero i nostri classici a proposito dell'ingiustizia e dei diritti: all'operaio non viene fatta un'ingiustizia particolare e non gli sono negati particolari diritti; su di lui ricade l'ingiustizia universale e in questa società non ha garanzie; non può far altro che "spezzare le catene", cioè liberare la forma nuova dai legami che non la lasciano sorgere.
Lo Stato capitalistico può "riconoscere" qualsiasi forza sociale, anche muovendole guerra per ricondurla entro i confini del compromesso; ma non potrà mai riconoscere l'anti-forma che emerge senza rivendicare nulla, che sempli-cemente dà vita a una società nuova e per essa combatte contro il vecchio ambiente.
Questa sarà la forza della futura comunità-partito irriducibile al compromesso. L'individuo-molecola trova le connessioni adatte e passa dall'alienazione al senso di appartenenza, si aggrega, si polarizza, si fa organismo nuovo e completo. Il quale diventa per ciò stesso il principale nemico della forma attuale, anzi, l'unico vero nemico.
Per questo ad ogni accenno dell'emergere dell'anti-forma compaiono i carri armati, come a Parigi, Tienanmen, Los Angeles, senza contare i tanti altri luoghi sconosciuti che una cronaca distratta cita appena.

Il testo completo è disponibile in www.quinterna.org


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